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Amicizia, la storia che parla di noi

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(f.van.) Metto all’o.d.g. del nostro blog una vicenda che non abbiamo ancora trattato ma che rappresenta uno dei casi principali (e più controversi) dell’ufologia: la storia di “Amicizia”, un fenomeno di contattismo di massa che sarebbe durato decenni e che si sarebbe svolto (anche) in Italia. Materia tosta, sia per i ”duri e puri” della fede aliena, sia per i miscredenti. “Amicizia”, ad ogni modo, è stata più che altro oggetto di stroncature - facili e scontate, ciò è inevitabile – da parte dei “contras”: è per questo motivo che i non pochi testimoni hanno sempre preferito il low profile. Raccogliendo l’invito/contributo di Ivan Ceci, appassionatosi alla questione e relatore in questi giorni a Pomezia in una serata dedicata al caso, lancio e apro la discussione invitando tutti allo sforzo di un dibattito equilibrato e misurato. A prescindere che sia stata vera o no, “Amicizia” suggerisce secondo me una linea precisa e interessante: è l’uomo che può aiutare se stesso; e l’alieno, per una volta tanto, non è visto come un nemico, ma come un catalizzatore di virtù. Se applicassimo questo principio già alle relazioni quotidiane, a prescindere da eventuali E.T., forse le cose funzionerebbero meglio.

Tra il 1956 e la fine degli anni 70 in Italia un largo gruppo di persone, appartenenti alle più diverse categorie sociali , fu coinvolto in quello che è senza alcun dubbio il più importante e meglio documentato caso di contattismo mai registrato nel nostro Paese. La vicenda è passata alla storia con il nome di “Amicizia” ed è rimasta segreta per più di tre decenni fino a quando, nel 2007, è stata resa nota al pubblico attraverso il libro “Contattismi di Massa” curato dall’ingegner Stefano Breccia. Nel libro l’autore ha raccolto e riordinato le memorie di uno dei maggiori protagonisti della vicenda, Bruno Sammaciccia. A seguito della pubblicazione del volume, altri testimoni di quella straordinaria storia si sono poi fatti avanti per raccontare gli eventi da loro vissuti molti decenni prima. Questo affinché il messaggio più profondo dell’esperienza non andasse perduto. Furono di certo anni particolari quelli in cui si svolse “Amicizia”; anni in cui qualcosa di unico accadde nei nostri cieli. Ma se la maggior parte degli italiani potè solo leggere i resoconti e le testimonianze raccolte dai primi giornalisti attenti al fenomeno, quali Bruno Ghibaudi (che pubblicò negli anni centinaia di articoli su varie testate, tra queste la Settimana INCOM, Il Tempo e La Stampa), altri ebbero invece la fortuna di vivere di persona un’esperienza assolutamente fuori dall’ordinario, che finì per cambiare per sempre le loro vite. Uno di questi è il pittore Gaspare De Lama, che nel dicembre 1961 avvistò e fotografò, insieme alla moglie e alla madre, un disco volante sui cieli di Milano. Fotografie straordinariamente nitide, che furono poi pubblicate anche sulle pagine della Domenica del Corriere poche settimane più tardi, accompagnate da un breve resoconto dei fatti. Eppure, nonostante la quantità e la qualità delle testimonianze giunte fino a noi, non è facile riassumere in poche righe ciò che questa storia fuori dal comune (durata più di vent’ anni) ha significato per coloro che l’hanno vissuta e che ancora oggi la ricordano facendone testimonianza per le generazioni future. Ci sono aspetti che lasciano ancora oggi a bocca aperta. E non è soltanto la straordinaria documentazione fotografica prodotta dai testimoni, che pure rappresenta qualcosa di unico nel panorama e nella casistica ufologica internazionale. E non sono neanche i vari fenomeni, gli incontri amichevoli con gli alieni, la materializzazione e smaterializzazione di oggetti, gli avvistamenti di dischi volanti “su appuntamento”. Così come non è neanche, tutto sommato, il numero e l’attendibiltà dei testimoni coinvolti in vari momenti (tra questi anche il celebre Console Alberto Perego, che non a caso pubblicò il suo primo libro “Svelato il mistero dei Dischi Volanti” proprio nel 1956). Ciò che rende “Amicizia” non un semplice caso ufologico, bensì “il caso ufologico” più rilevante della nostra storia recente, è il fatto che questa vicenda non ci parla soltanto della presenza tra noi di altre culture, ma ci parla soprattutto di noi. Del nostro presente e del nostro futuro, di ciò che siamo e di ciò che ci apprestiamo a diventare. Non solo, dunque, di noi e di Loro, ma di noi tra Loro. I W56, così i terrestri chiamavano gli alieni “amici”, (che tra l’altro avevano un aspetto assolutamente simile al nostro, tanto da poter essere tranquillamente scambiati per uno di noi), consideravano infatti la Terra un Pianeta tanto raro quanto prezioso, sul quale la vita si era sviluppata rigogliosa e ricca. Un pianeta da proteggere che l’Umanità invece stava (e ancora sta) distruggendo. I W56 appartenevano a diverse razze, provenienti da diversi sistemi solari, uniti sotto la bandiera di una comune missione: monitorare lo sviluppo della vita sulla Terra e dare vita ad un progetto di contatto su larga scala a partire da piccoli gruppi di persone sparse in tutto il Pianeta.

Far comprendere loro che l’Umanità non è sola nell’Universo e che quest’ultima ha la possibilità, se vuole, di entrare a far parte di una famiglia più grande, a patto però di cambiare profondamente il proprio stile di vita. Un progetto che per alcuni potrà sembrare incomprensibile, fuori da una ipotetica logica extraterrestre, ma che, se ci si pensa bene, non è diverso da quanto sta accandendo oggi in alcuni luoghi remoti del nostro pianeta. Giusto alcuni mesi fa l’organizzazione internazionale Survival, che si occupa della tutela dei popoli incontattati del Pianeta (popoli cioè che non hanno avuto contatti con la nostra “civiltà”), ha pubblicato un video straordinario nel quale venivano mostrati alcuni gruppi di indigeni al confine tra il Brasile e il Perù minacciati dal progressivo disboscamento forestale perpetrato dal Governo peruviano, che rifiuta di riconoscerne l’esistenza pur di non assumersi la responsabilità di quanto sta accadendo a questi popoli. Vi invito a guardarlo bene e a riflettere. Come giustamente si fa notare nel servizio, questi popoli hanno il diritto di scegliere se entrare o meno in contatto con la nostra cultura. Non può essere loro imposto. E allora la domanda che io pongo è questa: e se ribaltassimo la situazione e immaginassimo di essere noi quegli indigeni? I nostri sguardi non sarebbero gli stessi nel momento in cui vedessimo volare sopra le nostre teste qualcosa di sconosciuto? E soprattutto, se anche noi avessimo qualcuno lassù che si sta battendo per lasciarci una scelta? La scelta di entrare a far parte di una famiglia più grande e più evoluta? Sono certo interrogativi importanti e di non facile soluzione. Anche il paragone con il caso italiano può sembrare azzardato. Ma io sono convinto che “Amicizia” abbia rappresentato, nel suo significato più profondo, qualcosa di molto, molto simile. E il fatto che questa esperienza non sia probabilmente terminata alla fine degli anni 80,ma che continui anche oggi, magari in qualche altra parte del Pianeta, ci fa capire che al di là di quanto noi possiamo pensare riguardo alle prospettive di miglioramento della nostra specie, là fuori c’è qualcuno che ha in noi più fiducia di quanta ne abbiano noi in noi stessi. La scelta se tendere loro una mano, dunque, spetta soltanto a noi.

Ivan Ceci

Post scriptum: in questo link trovate la puntata di Dossier Alieni nella quale si è parlato di “Amicizia”

Fonte – Mistero bUfo,  17 luglio 2011


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